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Contabilizzazione del Calore – commenti sulle criticità della legge 102 – settembre 2015

By Ottobre 12, 2018 Aprile 8th, 2020 No Comments
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Contabilizzazione indiretta del Calore

Commenti sulla legge 102 del 2014 e sulla norma UNI 10200

 

In qualità di aziende specializzate da molti decenni nella contabilizzazione del calore in Italia e offrendo il servizio di contabilizzazione a migliaia di condomini, possiamo tranquillamente affermare di conoscere a fondo la materia con le relative criticità. Oltre a ciò da parecchi anni siamo presenti nelle varie Commissioni Tecniche, come il GC 803 del CTI, che trattano il tema della contabilizzazione.

Questo argomento, a cominciare dall’installazione degli apparecchi fino alla bollettatura per l’utente finale, apparentemente facile per un profano, è tutt’altro che banale se si considerano le problematiche di varia natura che interessano i condomini.

Con la legge 102 del 2014 anche lo Stato Italiano ha introdotto l’obbligo della contabilizzazione del calore per utenze che vengono riscaldate da un’impianto centralizzato a partire dal 1° Gennaio 2017.

L’obiettivo di questa nostra breve introduzione all’argomento è di formulare risposte chiare anche ai non adetti ai lavori che valutano in modo critico l’obbligo dell’applicazione della norma UNI 10200, proponendo soluzioni che porterebbero a una migliore accettazione della ripartizione delle spese per il riscaldamento e acqua calda sanitaria secondo i consumi.

Qual è il fattore di base che rende difficile l’applicazione della norma UNI 10200 e perchè questa situazione non si verifica in altri paesi europei?

La risposta è abbastanza semplice: perchè si cerca di risolvere tutto in modo matematico anche quando la matematica non può dare risposte “eque”. Prima di tutto si deve tenere presente che il risparmio energetico è nell’interesse dello Stato, quindi superiore a quello del singolo. Per questo, a monte di tutto, servono decisioni politiche. Infatti in nessun altro paese il conteggio della contabilizzazione è regolato da una norma tecnica come in Italia. La contabilizzazione è sempre regolata mediante leggi e regolamenti.

L’esempio più eclatante in merito è la determinazione della quota fissa la quale ripartisce i costi che comunque ogni utenza deve sostenere, indipendentemente dai consumi del singolo. A tal proposito la UNI 10200 non prevede nè minimi nè massimi e questo porta a situazioni estremamente inique imputabili all’ubicazione delle unità immobiliari. È vero e siamo d’accordo che l’aspetto del consumo energetico deve fare parte del valore di un’unità immobiliare, ma questo non deve essere estremizzato. Abitare in un ambiente condominiale comporta che esiste anche un’aspetto sociale, in quanto esistono interessi comuni. Sicuramente è giusto che un appartamento all’ultimo piano esposto a nord in un palazzo vecchio e poco coimbentato debba pagare di più perchè realmente consuma di più e questo incentiva anche a prevedere misure finalizzate al risparmio, ma non deve arrivare a triplicare o quadruplicare la bolletta di fine anno. E il ricalcolo dei millesimi di riscaldamento – con i quali vengono ripartite le spese all’interno della quota fissa secondo il fabbisogno teorico dell’appartamento – nella maggioranza dei casi peggiora ulteriormente la situazione. Ma questo si verifica contabilizzando secondo quanto previsto obbligatoriamente dalla UNI 10200!

Come si può risolvere questo problema? Semplicemente adottando la metodologia utilizzata da milioni di condomini in tutta Europa: si aumenta la quota della spesa fissa, lasciando invariati i “millesimi di riscaldamento” o magari ricalcolandoli con le potenze reali installate nelle utenze ( qualora questo calcolo non sia già stato fatto)!

Varie esperienze internazionali hanno dimostrato che, anche se si prevede una quota fissa del 50%, cioè si ripartiscono i costi per il riscaldamento solo per il 50% secondo i consumi, questo non diminuisce di fatto la propensione al risparmio del singolo utente. Anche nelle cosiddette case di vacanza, cioè non uniformemente abitate durante l’anno, la scelta di una quota fissa del 50% risolverebbe la maggior parte

 

dei problemi.

Perchè la quota fissa non dovrebbe scendere sotto il 30%? Semplicemente perchè questo limite minimo garantisce di eguagliare molti fattori non direttamente misurabili e quindi prevalentemente fuori controllo dal comportamento del singolo utente, come la trasmissione di calore da un’appartamento all’altro, le dispersioni, le perdite per la messa a disposizione di calore in qualsiasi momento, ecc. Inoltre, per case di più recente costruzione e quindi meglio coimbentate, permette di aumentare la quota da ripartire secondo i consumi arrivando fino al 70%, premiando così ancora di più chi risparmia, ma continuando a garantire l’aspetto “sociale”.

Tutto questo non è permesso dalla UNI 10200, che prescrive di calcolare la quota fissa con formule matematiche, basandosi su stime più o meno accurate ma senza limiti massimi e minimi.

Come piú volte proposto, basterebbe prevedere che il calcolo secondo la UNI 10200 non DEBBA superare il minimo del 30% e il massimo del 50%. Trattandosi di una decisione politica, sarebbe compito del legislatore definire questi limiti, nel nostro caso nella legge 102 del 2014, e non lasciare libertà di manovra ad una norma tecnica su aspetti così delicati. Da questo punto di vista la UNI 10200 considera solo l’interesse teorico del singolo, trascurando l’interesse comune.

Emergono altre problematiche nell’adozione della UNI 10200?

Indubbiamente sì. In questa sede menzioniamo solo alcuni aspetti accompagnati da esempi chiarificatori che dimostrano tutta la criticità di questa norma tecnica.

Pensiamo ad un condominio di 5-6- piani con due appartamenti nei piani intermedi, entrambi esposti a sud e IDENTICI in tutto e per tutto: estensione della superficie, tipologia di radiatori installati, serramenti, attigui sui lati o confinanti sopra e sotto con appartamenti uguali. Poiché la quota di consumo involontaria (la “quota fissa”) prende in considerazione il fabbisogno teorico, anche in presenza di CONSUMI IDENTICI i due utenti potranno pagare a fine stagione termica bollette diverse! Riteniamo che solo questo semplice esempio dimostri la difficoltà se non l’impossibilità di spiegare ai due utenti la logica che sottende questo calcolo.

Desideriamo menzionare un altro aspetto fondamentale: la UNI10200 prevede procedure complicate e difficilmente decifrabili per l’utente finale. È appurato che un sistema che incide in modo sostanziale sul bilancio delle famiglie viene recepito e accettato in modo positivo solo se è facilmente comprensibile. Una bolletta basata su un calcolo con una percentuale di costi ripartiti secondo i consumi chiara ed esplicita è facilmente comprensibile da qualsiasi utente e quindi trasparente. Nella UNI 10200 i calcoli che definiscono la quota da pagare non sono facilmente riproducibili e l’utente si deve solo fidare di quanto indicato e calcolato da parte di terzi. Sfidiamo anche tantissimi “esperti” in materia termotecnica che non si occpuano di continuo di contabilizzazione di calore, a dare risposte chiare e semplici su domande altrettanto chiare e semplici senza dovere ricorrere alle numerose formule e stime della norma. Numerosi ci hanno confermato questa problematica.

Altro aspetto non trascurabile consiste nel fatto che la UNI 10200 contiene vari contrasti con un’altra norma, sempre dell’UNI, ma Europea: la UNI EN 834. Questa ambiguità genera una totale incertezza legale in caso di contestazioni da parte di singoli utenti. Dopo alcuni nostri interventi ufficiali presso la Presidenza dell’UNI abbiamo ottenuto la cancellazione di alcune frasi in cui questo contrasto era palese.

Ma la UNI 10200 almeno garantisce il corretto funzionamento degli apparecchi che rilevano i consumi?

Purtroppo anche su questo aspetto dobbiamo essere molto critici e rispondere in modo negativo. Si tratta di materia molto tecnica, ma cerchiamo di spiegarla in parole semplici con un esempio.

Un ripartitore rileva il “consumo” di un radiatore misurando la temperatura media dello stesso. Quindi non “sa” se sta lavorando su un radiatore piccolo o grande. Per garantire un rilevamento utile per la ripartizione dei costi le unità di consumo indicate dal ripartitore devono essere corrette con un moltiplicatore che esplicita la potenza nominale del calorifero sul quale il ripartitore ha rilevato: più

 

grande é il radiatore più peso avranno le unità su di lui conteggiate. E’ intuitivo che l’identificazione del radiatore è una questione fondamentale e che un errore fatto in questo ambito si rifletta direttamente sulla bolletta di fine anno dell’utente. Tutte le aziende serie del settore dedicano forti investimenti a questa attività, disponendo di personale appositamente addestrato e banche dati con decine di migliaia di radiatori. Al contrario, la UNI 10200 prevede una determinazione alquanto semplicistica di questo fattore di correzione (definito fattore K) che può portare ad errori molto importanti. È vero che la 10200 prevede questo metodo semplicistico chiamato “dimensionale” solo nel caso in cui il dato ufficiale della potenza nominale del calorifero non “è disponibile”. Ma cosa si intende con questa espressione? Su quali basi posso dichiarare che non è disponibile e ricorrere quindi al metodo dimensionale? I conteggi che fino ad oggi abbiamo visto realizzati secondo la UNI 10200 hanno determinato il valore del radiatore con il metodo semplicistico dimensionale, perché non necessita di esperti in materia, indipendentemente dal fatto che la potenza nominale del calorifero fosse disponibile.

Poichè eravate presenti da decenni nel gruppo di lavoro che elaborava la UNI 10200, perchè non siete intervenuti prima richiedendone la modifica?

Numerosi documenti ufficiali, oltre ai nostri interventi verbali, dimostrano quante volte abbiamo cercato di dare un contributo costruttivo per migliorare la norma, ma siamo stati costantemente ignorati. Preferiamo non esprimere in questa sede la nostra opinione, ma è un dato di fatto che anche Commissioni tecniche o gruppi di lavoro sono fortemente influenzati da lobbies. Quando la norma andò in inchiesta pubblica qualche anno fa, non abbiamo contestato ufficialmente semplicemente perchè una norma nazionale come la 10200 si applica in modo volontario. Solo ora che la legge 102 del 2014 ne fa diretto riferimento, l’applicazione è obbligatoria. Desideriamo anche far presente che nonostante i nostri clienti – migliaia di condomini – avessero la possibilità di ripartire i costi secondo il metodo di calcolo previsto dalla 10200, quasi nessuno lo ha scelto. Tale fatto dovrebbe far riflettere, soprattutto i politici responsabili della legge sul risparmio energetico 102/2014!

Sperate che le cose cambino?

Certamente sì. E cerchiamo di farlo facendo informazione. Abbiamo già avuto innumerevoli incontri con le Unioni Consumatori, responsabili pubblici locali e nazionali nel campo energetico, unioni inquilini, associazioni dei proprietari degli immobili, amministratori di condomini ecc., e nella maggior parte dei casi abbiamo riscontrato un consenso totale alle ns. obiezioni verso la UNI10200. La difficoltà è riuscire a spiegare in modo semplice a dei profani una materia cosí specialistica.

Avete altre preoccupazioni in merito alla legge 102 che prevede l’obbligo della contabilizzazione del calore secondo i consumi?

Sì. Se la legge rimanesse invariata, contiene vari aspetti poco chiari. Uno per tutti: non si capisce chi è il cliente finale in un condominio che, per la suddivisione delle spese interne tra gli utenti non può essere che il condominio stesso.

Temiamo non solo un’incertezza legale per le ragioni spiegate precedentemente, che aprirebbe a contenziosi fuori controllo, ma anche un rigetto da parte del consumatore finale. Per determinare alcuni fattori necessari al calcolo previsto dalla UNI 10200 serve un progetto che può costare, se eseguito in modo serio, anche centinaia di Euro per utenza. E questo, a nostro avviso, supportato anche dal fatto che in nessun altro paese dove la contabilizzazione è diffusa esista un simile obbligo, certamente sarà percepito come una nuova tassa sull’immobile! Per giustificare la necessità del progetto realizzato da un’esperto si cita il codice civile dicendo che deve essere conteggiato solo il “consumo volontario” dell’utente. Tuttavia si rimanda all’esperto la determinazione della percentuale di questo “consumo volontario” applicando formule empiriche e stime. Infine, la norma 10200 prevede di conteggiare come volontari consumi “forzati” negli appartamenti, che l’utente dovrà pagare ma sui quali non ha alcuna influenza (p.es. tubazioni che passano nell’abitazione). Solo questo fatto dimostra la non validitá delle giustificazioni sopra addotte.

 

Idealmente, come dovrebbe essere cambiata la legge 102 del 2014 in merito alla contabilizzazione del calore obbligatoria per garantire effettivamente il bene del consumatore finale?

Se ci fosse la volontà politica, una migliore conoscenza della materia e una minore influenza da parte di lobby forti, sarebbe abbastanza facile. Cerchiamo di spiegarci in modo semplice.

Prima di tutto non si capisce perchè un condominio debba necessariamente ripartire i costi usando il metodo di calcolo della UNI 10200. Come abbiamo spiegato, ci sono altri metodi affidabili, come il cosiddetto “metodo europeo”, usati in moltissimi altri paesi e impiegati attualmente con piena soddisfazione da decine di milioni di utenze in Europa, di cui alcune decine di migliaia in Italia. Perchè obbligarle ora a cambiare? Facciamo presente che la mancata applicazione della norma 10200 prevede sanzioni molto onerose, fino a 2.500€ per utenza! Pensiamo ad un piccolo condominio in periferia con pochi appartamenti (3-4) riscaldati da un’unica caldaia dove vivono famiglie magari apparentate che oggi ripartiscono da soli i costi tranquillamente e senza alcun problema. Per adeguarsi alla 10200 saranno obbligati ad andare dal progettista, richiedergli un costoso progetto e una diagnosi energetica e poi rivolgersi ad un esperto per ripartire i costi alla fine di ogni esercizio, altrimenti saranno sanzionati. Perchè dovrebbero rivolgersi a un esperto per la suddivisione dei costi? Semplicemente perchè, l’unica alternativa al “fai da te” è l’acquisto (necessariamente a pagamento) della norma UNI 10200 e un complicato calcolo con formule matematiche.

Quindi per rispondere alla domanda sopra esposta la prima cosa da fare è eliminare dalla legge 102 il riferimento obbligatorio alla norma UNI 10200, o almeno renderlo facoltativo, prevedendo altri metodi di calcolo altrettanto validi. Per la difesa dell’equità la legge dovrebbe prevedere solo i limiti massimi e minimi della parte di spesa da ripartire secondo i consumi rilevati nelle singole utenze come già sopra esposto.

Riguardo gli apparecchi per il rilevamento dei consumi da usare in edifici esistenti facciamo presente che la direttiva europea e le sue linee guida prevedono l’impiego dei seguenti apparecchi, nel seguente ordine: contatori di calore secondo la norma UNI EN 1434, se non possibile o non economico ripartitori di costi di riscaldamento secondo la norma UNI EN 834, e solo dopo che sono state valutate queste possibilità può essere usato un sistema alternativo valido!

Il testo originale della legge 102 prevedeva esattamente questo, ma per ragioni che possiamo solo immaginare, con l’inserimento di un emendamento alla legge di stabilità è stato tolto il riferimento alla norma europea UNI EN 834 e inserita un’espressione generica “sistemi alternativi”. Non intendiamo approfondire il discorso in questa sede ma facciamo presente che tale modifica oltre a non essere conforme alla direttiva europea e relative linee guida, non è positiva in un’ottica di tutela del consumatore finale.

Concludendo, l’attuale versione della legge 102 dimostra che è stata scritta da profani in materia di contabilizzazione del calore di condomini e proprietà alimentati da sistemi di riscaldamento e produzione per acqua calda centralizzati. A parte la grande confusione generata nel non definire chiaramente chi è il cliente finale che deve occuparsi dell’installazione di apparecchi che rilevano i consumi, che ragionevolmente e secondo la direttiva europea non può essere altro che il condominio stesso, citiamo brevemente l’unico passo nella legge 102 che fa riferimento al fatto che la bolletta finale deve essere calcolata secondo la norma UNI 10200:

Art. 9 d): “quando i condomini sono alimentati dal teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento degli appartamenti e delle aree comuni, qualora le scale e i corridoi siano dotati di radiatori, … omissis …, l’importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto, secondo quanto previsto dalla norma tecnica UNI 10200 e successivi aggiornamenti.

Quindi solo se le scale e i corridoi sono dotati di radiatori si deve fare riferimento alla norma UNI 10200

 

per il calcolo delle spese!

Non pensando che l’intenzione del legislatore fosse esattamente questa, questo passaggio dimostra che certi passaggi sono stati inseriti solo su pressione di interessi forti del mercato, senza curarsi del bene del consumatore finale.

Ma c’è chi sostiene che in Italia la ripartizione dei costi del riscaldamento secondo i consumi individuali con percentuali fisse (per la quota fissa) sia vietata in quanto in contrasto con altre leggi in vigore.

A tal proposito si cita l’art. 26, comma 5 della legge 9 gennaio 1991 n. 10 sostenendo che “le ripartizioni a seguito della contabilizzazione debbano essere effettuate in base ai consumi effettivi (che quindi non prevedono correzione alcuna). Se questa rigida interpretazione fosse vera, ne deriverebbe l’impossibilità di applicare la contabilizzazione in Italia! Per il semplice motivo che i cosiddetti costi fissi (consumo involontario, perdite, trasmissione di calore, etc.) sono presenti, ma non è possibile misurarli! A nche la UNI10200 contiene numerose stime, tabelle e presunzioni teoriche proprio allo scopo di determinare questa parte che non verrà suddivisa secondo i consumi del singolo utente. Ne consegue che anche seguendo pedissequamente quanto previsto dalla UNI10200 l’addebito all’utente finale non può basarsi esclusivamente sul suo “consumo effettivo” di riscaldamento e acqua calda sanitaria. La quota fissa dovrà necessariamente basarsi su dati empirici e teorici indipendentemente dalla metodologia di calcolo si voglia utilizzare!

Se questa interpretazione restrittiva fosse vera, si dovrebbero modificare le leggi in chiaro conflitto con l’adozione della contabilizzazione secondo i consumi. Una diversa soluzione è tecnicamente impossibile per le ragioni appena accennate.

 

 

Punti cardini da cambiare nella legge 102/2014 oltre a prevedere cha la norma nazionale UNI 10200 sia pienamente conforme in qualsiasi sua parte con le norme Europee UNI EN.

 

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